Filippo di Ser Brunellesco

Regola costruttiva


IL SEGRETO DELLA CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE
(inizio degli studi sulla regola costruttiva della Cupola)

di Massimo Ricci

tratto da LE SCIENZE ed. italiana di Scientific American n. 227 Milano luglio 1987 

    (...) Il problema della risoluzione geometrica della forma della Cupola ha interessato per secoli molti studiosi. Come fece il Maestro a risolvere tale problema senza l'uso delle armature e delle centine?
In pratica ci si trovava davanti ad un enorme vuoto costituito dal piano di imposta ottagonale (che misura 45 metri di diagonale interna). Come se questo non bastasse, l'imposta della Cupola è situata a 55,70 metri circa dal pavimento sottostante. In mancanza delle centine, la struttura doveva essere definita punto per punto nel corso del suo incremento. Come si poterono fissare questi punti attraverso tale vuoto? Come si riuscì a risolvere la geometria di una mole di quelle proporzioni in quelle condizioni di lavoro? Questi furono a mio avviso i veri problemi e furono così importanti da condizionare tutto il procedimento costruttivo. Vediamoli nei particolari.
    L'armatura di una volta è costituita da una serie di dispositivi lignei che, opportunamente sagomati, la sostengono nel corso della costruzione poichè, fino a che non è ultimata la sua struttura, la volta non è in grado di autosostenersi. In secondo luogo le armature hanno la funzione di sostenere le "centine" che servono invece a predefinire la forma - sesto - della volta, guidando anche la messa in opera dei corsi dei mattoni o di pietra e fornendo così un riferimento costante per le maestranze che la devono realizzare. Nel caso della Cupola di Santa Maria del Fiore questi dispositivi dovevano raggiungere i 90 metri di altezza con uno sviluppo radiale in pianta di almeno 20 metri per ogni armatura di spigolo. A queste smisurate dimensioni va aggiunto il carico di circa 28000 tonnellate costituito dal peso proprio della Cupola. Possiamo facilmente concludere, come fu chiaro anche in occasione del concorso del 1418, che queste strutture erano impossibili da realizzare, non solo per l'enorme costo, ma anche perchè si sarebbero schiacciate alla base sotto l'enorme peso proprio.
    L'impossibilità di impiegare questi dispositivi impose quindi l'adozione di un sistema costruttivo particolare, diverso da ogni altro fino ad allora adottato per la costruzione di strutture simili. Si può quindi facilmente immaginare che dall'unicità della struttura  sia stata necessaria l'invenzione di un particolare "sistema di costruzione". Questo sistema costruttivo influenzò profondamente anche l'aspetto tecnologico inerente le murature. Per esempio, il fatto che la Cupola dovesse autosostenersi impose l'adozione della "spina-pesce", consistente in corsi di mattoni longitudinali a struttura elicoidale che troviamo inglobati nei filari trasversali "a corda blanda".
La ricostruzione di questa regola, come io la propongo, si basa proprio sull'assenza delle armature e delle centine, sostituite dall'uso di semplici corde o fili di ferro (il cui uso è atetstato da documenti risalenti al tempo del concorso, utilizzati  per la verifica del modello).
Con questo sistema di corde e fili di ferro era possibile guidare la posa di otto centine di ridotta dimensione poste negli angoli, capaci di sostituire quelle a sviluppo totale che non fu possibile realizzare.
    Per definire la geometria della Cupola con il solo ausilio di queste corde e di centine a sviluppo parziale, fu necessario disporre di un preciso piano di lavoro , perfettamente orizzontale, sul quale fare riferimento attraverso dei punti su questo posizionati che servono da centri per le corde.
Partendo da questi presupposti, cominciai a osservare attentamente la struttura della Cupola e in particolare il suo piano d'imposta che corrisponde, per quanto riguarda la quota, al ballatoio più alto, in prossimità della fine del tamburo ottagono. Notai immediatamente la strana perfezione con cui erano state realizzate le quarantotto "buche pontaie" del piano di imposta; fortunatamente erano state lasciate in vista, ancora aperte.
La loro forma è perfettamente definita, alla base, da pietre tagliate e incastrate con molta precisione (che costituiscono la tribunetta perimetrale superiore), sicuramente per l'appoggio di travi precisamente squadrate e levigate. Ci troviamo quindi di fronte ad una operazione che deve aver richiesto molte spese e molto tempo per la manodopera specializzata. Questo è in netto contrasto con le normali tecniche di messa in opera di ponteggi di servzio o piani di lavoro, nei quali le buche pontaie sono allineate rozzamente e presentano aperture molto irregolari, ricavate ed allineate rozzamente  e comunque non rifinite.
Ripensando alla necessità di un piano perfetto, utile al riferimento delle corde, non tardai molto a rendermi conto che il piano definito dalle buche pontaie, aumentato di circa 50 centimetri per il tavolato di servizio, non era un semplice piano di lavoro, ma una superficie su cui si prendevano le misure per la definizione della geomtria della Cupola.
Avevo così spiegato la precisione con cui si era realizzato l'alloggio delle travature portanti, costituito dalle buche pontaie.
Restava ora da trovare in che modo si usavano queste corde sulla superficie prima ricordata.
Dopo molti tentativi mi accorsi che il solo piano non era sufficiente a guidare le corde, ma che serviva "un qualcosa" che ne razionalizzasse l'uso: un luogo geometrico che con particolari  proprietà permettesse di definire con le corde la geometria della Cupola. Oltre a questo, limitai le operazioni possibili, a quelle eseguibili con i soli strumenti adoperati nei cantieri dell'epoca: il filo a piombo, l'archipenzolo e la squadra.
    In seguito introdussi un'altra limitazione operativa, anche questa suggerita dalle "buche pontaie": la limitazione in aggetto dell'impalcato di servizio alla base di imposta. Analizzando la loro dislocazione e le loro dimensioni, con semplici calcoli statistici ricavai il massimo aggetto possibile che le travi appoggiate nelle "buche" potevano sostenere, stabilendo che nell'estensione massima dell'impalcato poteva essere di circa 10-12 metri. Di conseguenza anche i punti di riferimento per le misurazioni dovevano trovarsi entro questa estensione in aggetto.
     L'esperienza sulle tecniche operative degli antichi costruttori mi suggeriva che gli archi "acuti" venissero definiti geometricamente, ponendo il loro centro di curvatura dalla parte opposta dell'imposta di ogni rispettiva porzione di muratura che li costituisce. Analogamente, nel caso della Cupola, ogni vela poteva essere definita stando sulla porzione di impalcato opposta: il procedimento era in perfetto accordo con i risultati inerenti all'impalcato e alle sue dimensioni possibili e quindi era estremamente attendibile. Conoscevo ora dove il Brunelleschi poteva aver posto i punti di riferimento sui quali centrare le corde per la definizione della geometria della Cupola.
A questo punto restava da trovare come queste corde avessero potuto sostituire l'uso delle centine, ma non tardai a scoprirlo.
    Dal punto di vista della geomtria degli archi acuti, la centina che li definisce non è altro che la porzione di una circonferenza.
A seconda di come si sceglie il raggio e la posizione del centro di rotazione ,l'arco assume una forma più o meno acuta (curvatura o sesto ).
Nel caso della Cupola, il "sesto" era stato stabilito  " a quinto acuto", come sta scritto nella relazione dell'aprile 1420.
La circonferenza doveva avere quindi un raggio pari ai 4/5 della diagonale dell'ottagono di base (che misura 45 metri), ossia 36 metri. 
Il centro di riferimento (detto anche di curvatura) doveva giacere lungo la diagonale stessa a 36 metri dallo spigolo che si intendeva definire.
Sulla base di queste considerazioni, il centro di riferimento cade proprio nei 10 metri di impalcato possibili di cui ho parlato in precedenza. Non rimaneva ora che innalzare, ruotandola, lungo un piano verticale normale a quello di imposta, una corda o un filo di ferro di 36 metri per ottenere facilmente la geometria di tutto lo spigolo di una vela.
Era sufficiente ricorrere ad un filo a piombo riferito alla diagonale spigolo-spigolo, materializzata da un'altra corda tesa in precedenza attraverso il vuoto, coincidente con il piano di imposta. Poichè la rotazione "piombata" della prima corda definisce nel vuoto tutti i punti dello spigolo di due vele contigue, proprio come si ottiene una centina, avevo trovato un metodo operativo per sostituire completamente l'uso delle centine.
    Le basi della regola cercata erano ormai stabilite, ma vi era ancora da risolvere il problema riguardante la definizione della superficie di ogni singola vela compresa tra i relativi spigoli. Il metodo più semplice è quello di unire con una cordicella punti di uguale quota giacenti sul dorso delle centine a sviluppo parziale, ai lati di una singola vela.
Ovviamente , il movimento a step verticale di queste centine parziali veniva guidato dall'uso delle cordicelle prima indicate che erano centrate nei centri di quinto acuto.di volta in volta .
Risolto il problema del tracciamento geometrico della Cupola, bisognava risolvere quello della mancanza dell'armatura. Questa situazione imponeva la costruzione di una struttura che fosse autoportante, cioè che si sostenesse da sola nel corso della costruzione. Una struttura di questio tipo presupponeva un incremento su superfici coniche dei letti di posa dei mattoni. Questa forma conica dei letti di posa è detta "a corda blanda".
    In pratica è proprio la forma di una corda allentata, che assume andamento non rettilineo a causa della sua freccia di inflessione. Insieme a questo andava risolto anche il problema "di indicare ai muratori come dovevano essere posti in opera i mattoni" .
Infatti, per realizzare una muratura con tale complessa geometria ( a piani conici e non orizzontali) i mattoni richiedono l'individuazione di TRE DIRETTRICI DI POSA , che non potevano essere stabilite "ad occhio" . Se la posa dei mattoni non fosse stata controllata in ogni punto della costruzione, LA CUPOLA NON SI SAREBBE POTUTA REALIZZARE.
Allo stesso modo, i muratori non avrebbero saputo "vedere" come dovevano stare i mattoni in ogni punto. Anche questa seconda condizione avrebbe impedita la costruzione del Monumento.
    Mi chiesi come era stato possibile ai cotruttori risolvere questo problema che come ho detto è quello più difficile e fondamentale della costruzione.
    L'esperienza mi venne in aiuto, perchè mi ricordai come in molti casi venissero adoperate cordicelle per determinare il giusto assetto dei mattoni lungo lo sviluppo degli archi e delle volte tradizionali.
Quindi, come nella tecnica tradizionale, i costruttori di allora avrebbero dovuto avere i necessari punti di riferimento, normalmente materializzati da una semplice cordicella .
    In questa fase della ricerca avevo risolto, in pratica, solo la definizione della geometria generale dell'opera.
Rimaneva da risolvere la geometria locale dei singoli conci di incremento formati dai mattoni. Cominciai allora a cercare questo eventuale riferimento, che doveva avere per punti fissi i due centri di curvatura che servivano a definire gli spigoli (chiamati appunto "centri del quinto acuto"). Ponendomi il problema inverso, mi chiesi quale luogo geometrico potesse guidare la posa dei mattoni, facendoli anche appartenere a una superficie intradossalepiatta, partendo da un sistema con incremento a raggio fisso. Ben presto mi resi conto che si trattava di una pseudocirconferenza che univa i due centri di quinto acuto sull'impalcato di imposta. Se viene ripetuta per otto volte, una per ogni singola vala, essa forma un "fiore", quello che poi ho chiamato "il fiore di Santa Maria del Fiore".
    Successivamente si è appurato che questa curva è una porzione della "concoide di Nicomede", nota fino dal II secolo avanti Cristo e usata nell'antichità per la costruzione di decorazioni geometriche floreali in opere di intarsio e anche nella rastremazione delle colonne e delle carene delle navi. Sicoome questa forma geometrica non è costruibile graficamente con l'uso del compasso e della riga, pensai che gli antichi ricorressero, per diseganre queste decorazioni, a uno strumento particolare, dal quale il Brunelleschi avrebbe potuto trarre il principio geometrico posto alla base della regola di costruzione della Cupola, considerata la sua attività di orafo e di architetto. In seguito mi resi conto che ci volevano più luoghi geometrici (più pseudocirconferenze) per definire la Cupola, se si voleva spingere la precisione a pochi centimetri di errore nei confonti dei 36 metri di sviluppo verticale di ogni singola vela e controllare al meglio possibile l'inclinazione radiale dei mattoni che doveva avvicinarsi alla condizione di "normale alla tengente nel punto di calotta considerato".
    In ogni caso, facendo riferimento a questo particolare "luogo geometrico" è possibile definire l'assetto da dare ai singoli mattoni nell'incremento dei conci murari e la geometria di tutte le strutture della Cupola con estrema facilità e precisione.
    Nella successiva relazione sui lavori per la Cupola del 1425, si legge di uno strumento chiamato "gualandrino a tre corde" che doveva servire per murare i mattoni. A mio avviso questo non era uno strumento dei muratori ma degli scalpellini.
E' una sorte di "squadra zoppa" (che ha i bracci mobili) che ho trovata descritta nel Dizionario dei Termini Artistici dell'Abate D'Alberti di Terranova, usata appunto dagli scalpellini per opere di "sottosquadro" pezzi formati da facce che hanno fra loro angoli diversi da quello retto.
Io penso invece che il relatore intendesse "murare A gualandrino a tre corde". Murare cioè col sistema del Gualandrino. E' evidente che la voce Gualandrino possa essere una distorsione della moderna "calandra" . In seguito a questo diventerebbe molto evidente che si intendesse murare utilizzando il dorso delle centine come "calandre" poste ai lati di ogni singola vela. Siccome l'andamento del corso di mattoni da realizzare non è rettilineo ma incurvato a "corda lente", sono necessarie due o tre cordicelle per rendere "fisica" la superficie di intradosso in quel punto di ogni singola vela. Da questo, "murare a gualandino (calandrino) a tre corde".
   A questo punto il procedimento operativo da me cercato era completo. Con l'adozione della regola e del "murare a gualandrino", il Brunelleschi sarebbe dunque riuscito a trasformare la difficilissima muratura conica della Cupola in un tipo di muratura più che tradizionale, rendendo facili le cose difficili", come ci ricorda la tradizione.

    Le corde necessarie alla definizione di un concio di incremento della Cupola a una certa quota erano solo tre. Le prime due erano corde di spigolo incrociate nel vuoto che determinavano, nel loro incontro, il centro di riferimento, precisamente sull'asse centrale verticale della Cupola. Esse venivano centrate sul "fiore" nei due punti fissi di questo, i così detti "centri del quinto acuto" e poi innalzate con la guida di un filo a piombo riferito ad altre due corde sistemate in precedenza e incrociate da spigolo a spigolo fra due vele simmetricamente opposte.
(Queste corde erano fissate a dei ganci in ferro che ho scoperto alla base delle vele della Cupola). In questo modo si ottenevano a 36 metri dal punto sul fiore i due punti che definivano lo spigolo della vela a una qualsiasi quota. La terza corda era mobile e aveva la funzione di definire le porzioni intermedie di ogni concio e come abbiamo visto, guidava la posa dei mattoni.
    Questa terza corda doveva sfiorare il centro definito nel vuoto dalle altre due. Un segnale posto lungo di essa a 36 metri dall'inizio (centrato sull'opportuno punto del fiore relativo a quel livello di costruzione) definiva anche perfettamente la superficie della vela. Aumentando lungo questa corda e da quel primo segnale lo spessore opportuno (definito alla base di imposta lungo il piano radiale su cui la corda giace) si ottenevano "automaticamente" gli spessori da conferire al concio di mattoni per definire perfettamente la struttura della Cupola.
    Con questo sistema diventa facilissima la rastremazione, nel senso radiale, degli elementi verticali della Cupola: bastava predisporre sull'impalcato di imposta le corde di riferimento necessarie per il filo a piombo con cui si guidava la costruzione dell'elemento, che così prendeva automaticamente la forma voluta a mano a mano che aumentava la sua dimensione verticale (procedimento dimostrato dall'esistenza dei ganci cui ho parlato sopra).
    Da alcuni anni, ho iniziato la verifica analitica della regola di costruzione di cui ho parlato . E fra le verifiche più importanti c'è quella derivante dalla decifrazione del testo e dei disegni riportati nella famosa pergamena di Giovanni di Gherardo Gherardi, detto Giovanni da Prato, conservata all'Archivio di Stato di Firenze.
. Questo manoscritto del 1425 fu redatto per accusare il Brunelleschi di costruire la Cupola in modo errato e riporta grafici e conclusioni espresse in merito.
E' l'unico documento del genere pervenuto fino ai nostri giorni, coevo all'impresa, redatto da un personaggio molto attendibile (l'abbiamo visto in qualità di esperto nei fatti del concorso del 1418) e di acuto senso di osservazione. Lo troviamo indicato in qualità di successore del Ghiberti in caso di sua morte.
    Per molti anni, da quando è stato reso noto, le argomentazioni e conclusioni del manoscritto sono sembrate di difficile interpretazione e addirittura (per alcuni studiosi) senza fondamento.
Nel corso dei primi mesi del 1983 ebbi la possibilità di esaminare il manoscritto che, alla luce della mia ipotesi sulla regola di costruzione, prendeva invece un preciso significato tecnologico e assumeva i connotati di un'eccellente analisi della conduzione dei lavori da parte del Brunelleschi.
Nel disegno che accompagna il manoscritto è raffigurato ciò che il maestro stava mettendo in pratica. Come lo stesso Giovanni di Gherardo dice: "...stranamente va facendo solamente uno centro e ogni angolo na uno per se secondo del modello mostrasi nella presente figura...". La figura è costituita da una sezione lungo la diagonale della Cupola e da una pianta dell'ottagono di imposta con riportato il metodo di misura della sua geometria. Questo antico documento costituisce una prova eccezionale dell attendibilità dell'ipotesi da me formulata, in quanto se ne ravvisa addirittura il disegno. Infatti, oltre a rappresentare in sezione il sistema di definizione del "sesto" delle calotte senza le centine e con un raggio materializzato con una cordicella o con un filo di ferro, nella pianta dell'ottagono, che appare in rosso, è visibile la rappresentazione del "fiore" (concoide di Nicomede) con un punto ben definito (chiamato nel testo di Giovanni "centro" per la curvatura del "sesto"). E' proprio la rappresentazione schematica di ciò che egli poteva vedere dell'operato del Brunelleschi e quindi rappresentare con una certa precisione, e corrisponde alla rappresentazione in pianta dello schema operativo della regola da me descritta. E' significativo che la posizione dei centri di curvatura sia stabilita proprio sull'impalcato di imposta, in perfetto accordo con le mie conlusioni.


   
La mia ricerca è nata dalla volontà di contribuire alla conoscenza della Cupola di Santa Maria del Fiore, assolutamente indispensabile alla progettazione del suo restauro e all'interpretazione del quadro delle lesioni. D'altra parte sembra che sia proprio questa la strada intrapesa dalla Commissione ministeriale che sta reperendo e schedando il maggior numero possibile di dati e di informazioni in vista di una qualsiasi decisione. Questo atteggiamento, oltre a essere indice di prudenza, è anche segno di capacità scientifica  e di giusta ponderazione dei problemi da affrontare che sono moltissimi e di estrema difficoltà, data la delicatezza dell'intervento e la complessità statica del monumento. Inoltre, la paziente opera di schedatura dei dati costituirà in futuro sia una sicura e importante base di riferimento per analizzare il comportamento nel tempo della struttura e per conoscere l'andamento dei fenomeni fessurativi, oltre alle cause che li hanno determinati, sia una preziosa fonte di suggerimenti per qualsisi altra decisione in merito al restauro, che così è, a mio avviso, già cominciato.
   La mia ricerca è proseguita con la costruzione del grande modello della Cupola in muratura di mattoni del peso di circa 500 tonnellate in scala uno a cinque nel Parco dell'Anconella a Firenze.
E' stato fatto per per mettere in pratica la regola di costruzione che ho scoperto e per verificarne la sua praticità nella guida della posa dei mattoni.. Per l'esperimento mi sono servito di piccoli mattoni appositamente predisposti dalla Ditta Montecchi di Firenze in scala opportuna, proprio per ripercorrere interamente - anche in scala minore - l'esperienza a suo tempo effettuata dai costruttori della Cupola reale.  E' stato così possibile verificare tutti gli aspetti della regola di costruzione del Brunelleschi legati alla pratica artigianale e conoscerla in maggior dettaglio. I miei muratori sono stati forniti dalla Scuola Edile della Provincia di Firenze e da studenti di Architettura del mio corso, afferenti alla mia Associazione "Filippo di Ser Brunellesco".
Quando la stesura di questo articolo era già ultimata, ho trovato nel corso di un sopralluogo effettuato sulla Cupola la prova più importante a favore del metodo costruttivo che ho scoperto. Si tratta di piccoli ganci di ferro infissi lungo il perimetro di base di ogni vela, a una quota di circa 1,70 metri dal piano di calpestio della tribunetta superiore sulla sommità del tamburo (il piano di appoggio delle travi che alloggiavano nelle buche pontaie).
   Sono i ganci cui venivano fissate le corde che definivano i riferimenti per il filo a piombo con il quale si procedeva alla rastremazione degli elementi verticali (costoloni) della Cupola, usando ovviamente il metodo costruttivo da me proposto. Siamo quindi davanti alla prova dell'esistenza del "reticolo di base", formato da corde, incrociate nel vuoto, che univano i punti simmetricamente omologhi di due vele opposte: il meccanismo che, insieme al filo a piombo, ha permesso al Brunelleschi di fare a meno delle centine.
    Ogni vela della calotta interna ha infatti otto ganci: due per gli spigoli dell'ottagono che la sottendono; quattro che definiscono il fronte interno dei costoloni di spigolo .
Nonostante gli elementi già forniti a sostegno dell'attendibilità del metodo da me proposto per la costruzione della Cupola, quest'ultima scoperta ne sancisce l'esattezza, a meno di trascurabilissime discrepanze. Il "segreto" di Filippo di Ser Brunellescho non è più dunque tale?

 prof.arch. Massimo Ricci